L’AVVOCATO RISPONDE – L’allevamento dei cani. Le normative

Nuovo appuntamento con la rubrica di Tesori a quattro zampe L’AVVOCATO RISPONDE, a cura dell’avvocatessa Giada Bernardi.
L’amore non si compra, si adotta. Lo abbiamo sempre detto e sempre lo sosterremo. Nonostante questo c’è chi sceglie il proprio compagno di vita in un allevamento, perché ama quella particolare razza o per altri motivi in merito quali non spetta certo a chi scrive sindacare o esprimere un parere, ma ai quali ritiene, piuttosto, doveroso fornire qualche utile indicazione finalizzata ad evitare, sgradite sorprese.
Sul sito dell’ENCI ( Ente Nazionale Cinofilia Italiana) è rinvenibile il Registro degli Allevatori regolarmente iscritti, nei quali non sono però ricompresi gli allevamenti amatoriali ed i privati ( purtroppo ancora molti) che fanno fare cucciolate casalinghe ( purtroppo ancora moltissimi). La legge n. 394 del 1993, “ Norme in materia di attività cinotecnica” ( laddove l’attività cinotecnica è considerata a tutti gli effetti attività imprenditoriale agricola quando i redditi che ne derivano sono prevalenti rispetto a quelli di altre attività economiche non agricole svolte dallo stesso soggetto) ha stabilito che un allevamento di cani professionale per essere considerato tale deve avere almeno 5 fattrici che danno vita a 30 cuccioli l’anno – requisiti numerici senza i quali l’allevamento viene considerato amatoriale – ed i redditi che derivano da tale attività devono essere prevalenti rispetto a quelli di altre attività economiche non agricole svolte dallo stesso soggetto.

L’allevamento amatoriale, che è la porta verso quello professionale, nasce principalmente per passione, ha meno vincoli di legge e permette di conoscere il mestiere e fare esperienza. Avviare un allevamento, anche se amatoriale, è comunque un impegno serio e l’attività deve essere portata avanti nella piena e totale osservanza della tutela della salute degli animali, secondo le leggi sanitarie vigenti e con l’obiettivo di garantire il benessere dei cane ed il loro adeguato mantenimento. L’allevamento professionale è spesso lo sviluppo dell’allevamento amatoriale, a seguito del quale l’allevatore diventa imprenditore agricolo ed è tenuto, per legge, a rispettare i seguenti obblighi:

a) Essere iscritto alla Camera di Commercio

b) avere le autorizzazione sanitaria – esposta al pubblico – volte a certificare l’idoneità delle strutture e
determinati requisiti relativamente ai box, al deposito mangimi, alla zona preparazione pasti,
salubrità dell’ambiente, nonché allo smaltimento del refluo in modo da garantire il benessere dei
cani.
c) obbligo di registro carico/scarico vidimato dalla ASL

d)obbligo di emettere documenti fiscali (fattura o ricevuta) e, quindi, essere titolare di patita IVA

Sul registro di carico e scarico devono essere annotati:
a) segnalazione del cane e numero di microchip
b) data di ingresso e data di uscita in caso di vendita o cessione
c) data di nascita delle cucciolate
d) numero dei cuccioli nati (specificando il numero di nati vivi e nati morti)
Le dette annotazioni vanno scritte entro 24 ore in caso di nascita, morte o nuove acquisizioni, mentre in caso di vendita o cessione dei cani, le annotazioni debbono essere scritte prima che il cane venga consegnato al nuovo proprietario. Entro il 31 gennaio di ogni anno, una copia del registro di carico e scarico
va consegnato all’ufficio comunale competente. In caso di malformazioni o malattie genetiche trasmissibili alle cucciolate gli allevatori devono impedirne la riproduzione.Ogni animale deve essere ceduto unitamente al certificato di buono stato di salute compilato da Medici Veterinari liberi professionisti con data non anteriore ai 30 giorni.
Di fondamentale importanza è anche il luogo prescelto per l’allevamento: gli animali non devono assolutamente essere detenuti in condizioni che non siano compatibili con le loro caratteristiche etologiche, nè in spazi angusti, poco areati, troppo o troppo poco illuminati, senza possibilità di deambulazione e, quando all’esterno, senza adeguato riparo. E’ vietato usare come locali di allevamento soffitte, scantinati, garage, vani di appartamento o vani adiacenti alle abitazioni, così come è vietato segregare gli animali in contenitori e gabbie. In caso contrario si configurerebbe, ovviamente, il reato di maltrattamento di animali. I luoghi ove gli animali vengono detenuti dovranno, quindi, essere adeguatamente riparati dagli agenti atmosferici, essere dotati di una cuccia / rifugio e avere un fondo che permetta movimento, stabulazione e eliminazione delle deiezioni.
E’ d’obbligo tenere separati gli animali non in grado di convivere con altri ed assolutamente vietato separare i cuccioli dalla madre prima dei 60 giorni, tranne casi particolari che dovranno, però essere
certificati da un medico veterinario o, ancora, in caso di comprovata aggressione da parte della madre
L’allevamento dovrà, ovviamente, essere dotato di ampia area esterna di sgambamento, conforme
agli standard normativi ed alle norme sanitarie, alla quale gli animali dovranno avere accesso per almeno
per un’ora al giorno e dovrà disporre di un’apposita area per la tolettatura.
La Suprema Corte di Cassazione con una recentissima sentenza del 2021 ha condannato un’allevatrice che deteneva 32 cani in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, essendo i cani chiusi in nove box inidonei a garantire adeguato ricambio d’aria. Nel 2013 il Supremo Collegio aveva confermato la condanna al carcere al gestore dell’allevamento dei cani in grave stato di denutrizione e disidratazione, che aveva mancato di prestare le cure e le attenzioni necessarie agli animali, non somministrando ad essi né da mangiare né da bere, e costringendoli in spazi angusti sì da menomare in maniera evidente anche la loro libertà di movimento.
Nel 2020 venivano condannati i gestori e la veterinaria di un allevamento in cui gli animali erano sopravvissuti per anni in recinti piccoli e sporchi, le fattrici consumate dalle innumerevoli gravidanze, dallo stress e dalle patologie non curate come dermatiti, otiti, parodontiti, ernie, ulcere, lesioni cutanee ed oculari, tumori mammari, diarrea profusa e parassitosi. Le fattrici venivano sfruttate per la produzione di cucciolate senza alcuno scrupolo per la loro salute fisica e mentale e costrette a partorire in condizioni igienico sanitarie disumane. Inoltre, mancava qualsiasi forma di stimolo ambientale e opportunità di sgambamento con conseguente stress cronico.
Accertarsi personalmente su quali siano le condizioni in cui sono tenuti gli animali nell’allevamento prescelto per l’acquisto deve, quindi, essere il primo step che chi decide di acquistare un animale deve fare. Appare opportuno ricordare come la compravendita degli animali rientri nelle disposizioni generali dettati dal Codice Civile in materia di compravendita e come, quindi, sia soggetta alle disposizioni sulla garanzia per vizi della cosa venduta di cui all’ art. 1495 c.c.). Garanzia per vizi dovuta dal venditore per il solo fatto oggettivo della presenza dei vizi e che può essere esclusa soltanto se il compratore era a conoscenza dei vizi stessi o se questi erano facilmente riconoscibili, salvo, in quest’ultimo caso, che il venditore abbia dichiarato che l’animale ne era esente. Qualora, quindi, l’animale manifesti una malattia in un periodo successivo all’acquisto, graverà sul venditore l’onere di dimostrare che la patologia derivi da un evento sopraggiunto in epoca successiva alla vendita.​
Nella vendita di animali, i difetti, le patologie o le malattie che compromettono la funzionalità dell’animale o diminuiscono il suo prezzo possono definirsi “vizio redibitorio” per i quali l’acquirente può chiedere la risoluzione del contratto (cd azione redibitoria) e la restituzione del prezzo corrisposto o in via alternativa ottenere il risarcimento di quanto pagato in eccesso rispetto al valore compromesso dal vizio ed, eventualmente, delle spese derivanti dal vizio stesso. Determinante ai fini della fondatezza dell’ azione è che i vizi dedotti siano preesistenti al momento della vendita, oppure insorti in epoca successiva alla stessa ma derivanti da cause preesistenti, nonché occulti e gravi.

La garanzia che copre i vizi si prescrive in un anno dalla consegna del bene e la denuncia al venditore deve essere fatta entro il termine decadenziale di 8 giorni dalla scoperta del vizio. Un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione ha da anni statuito univocamente come la denuncia dei vizi della cosa venduta ai sensi degli artt. 1492 e 1495 cod. civ. non debba consistere necessariamente in una esposizione dettagliata dei vizi che presenta la cosa venduta, né contenere formule sacramentali, laddove la finalità è quella di notiziare il venditore in ordine alla determinazione dell’acquirente di chiedere il risarcimento e, al contempo, di metterlo in condizione di verificare tempestivamente la veridicità del reclamo.

Giada Bernardi, avvocatessa

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