L’AVVOCATO RISPONDE – La responsabilità penale del veterinario

Cari amici ed amiche,
prosegue il nostro percorso all’interno del meraviglioso Mondo Animale (e dei molti personaggi che ne fanno parte) e come preannunciato la scorsa settimana, facciamo nuovamente tappa nelle Cliniche e negli Ambulatori Veterinari per scoprire quando l’attività del Sanitario integra, purtroppo, una fattispecie di reato.

Doveroso premettere come non si sta dando il via ad una crociata nei confronti della categoria dei Medici Veterinari – la maggioranza dei quali agisce con cuore, passione, professionalità e coscienza – ma come il nostro approfondimento sia finalizzato a fornire gli strumenti idonei a comprendere se si sia stati vittima di un caso di mala sanità veterinaria, e come eventualmente tutelarsi. La responsabilità penale del veterinario è, fortunatamente, meno frequente della responsabilità civile, sussistendo nei casi in cui la condotta del Sanitario, che può essere commissiva o omissiva, sia animata dalla precisa intenzione di uccidere o di far soffrire l’animale. “Se si ha l’obbligo giuridico di intervenire (curare) per impedire l’evento lesivo (maltrattamento di animali), si può essere chiamati a risponderne penalmente.”

E’ quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, III Sezione Penale che ha annullato il proscioglimento di un Medico Veterinario operante in un canile sanitario dove, a Capodanno, era stato ricoverato un cane ferito dopo un investimento stradale. Il professionista non l’avrebbe curato (né farmaci né cibo), ma l’avrebbe restituito, dopo due giorni di detenzione, al proprietario presso il quale l’animale è morto nel giro di un paio di giorni. Nella fattispecie il Supremo Collegio ha individuato l’obbligo giuridico gravante su Sanitario in due fonti: nella norma di legge (nel caso di specie la legge regionale sulla gestione degli animali ricoverati dal servizio veterinario nel canile sanitario) e nell’articolo 14 del Codice Deontologico, che testualmente recita come il Veterinario: “Ha l’obbligo, nei casi di urgenza ai quali è presente, di prestare le prime cure agli animali nella misura delle sue capacità e rapportate allo specifico contesto, eventualmente anche solo attivandosi per assicurare ogni specifica e adeguata assistenza”.

E’ di evidenza come nel caso in esame il Veterinario abbia tenuto una condotta omissiva – non prestando le dovute cure al cane – e caratterizzata da dolo generico, sussistente ogni qualvolta l’agente, in maniera deliberata, realizzi una delle condotte indicate dalla fattispecie in argomento “per crudeltà o senza necessità”. Il maltrattamento animale, reato c.d. a forma libera, previsto e punito dall’art. 544 ter cp, si è, nel caso esaminato, configurato per “omissione”: il Veterinario non ha messo in atto un obbligo giuridico e deontologico, consistente nel prestare cure e assistenza veterinaria al cane investito, obbligo impostogli proprio per evitare conseguenze lesive sull’animale.

Sempre la Cassazione si è pronunciata in merito alla responsabilità penale dei veterinari delle ASL in caso d’uccisione, da parte degli stessi, di animali effettuata senza necessità. Il Supremo Collegio, in base alle risultanze istruttorie acquisite nei precedenti gradi di giudizio, aveva appurato come i cuccioli soppressi versassero in buono stato di salute, fossero accuditi da volontari e tenuti in uno spazio recintato e come, quindi, la soppressione, nel caso concreto, non risultasse inevitabile in quanto non sussistente una situazione di necessità, che deve essere reale e concreta e non meramente ipotetica.

Nella decisione in commento i Giudici rimarcavano anche come i Veterinari, in osservanza della professione esercitata e del Codice Deontologico che devono osservare, siano – soprattutto in casi simili come quello giudicato – responsabilizzati in modo ulteriore rispetto ad altri soggetti, a nulla rilevando da chi parta la richiesta di soppressione degli animali, anche quando il soggetto sia il proprietario. E la decisione appena esaminata è solo una delle tante di condanna dell’eutanasia quando praticata (purtroppo spesso) con leggerezza e senza che sussistano i presupposti che ne costituiscano causa legittimante.

L’eutanasia può, infatti, essere praticata solamente da un medico veterinario solo quando ricorrano determinate e specifiche condizioni, ed ovvero se l’animale è:
– di “comprovata aggressività e pericolosità”
– gravemente malato (deve trattarsi di malattia allo stato terminale);
– incurabile: ovvero quando l’animale non mangia, non deambula, non respira, presenta dolori e sofferenze – incurabili per le quali non è praticabile nessuna terapia medica.

Il Veterinario, quindi, può procedere alla soppressione solo se inevitabile e, soprattutto nell’interesse dell’animale per evitargli ulteriori sofferenze, ed incorrendo in caso contrario, nel reato di cui all’art. 544 bis cp. L’ultima parola in ordine all’eutanasia, anche quando richiesta dal proprietario dell’animale, spetta quindi sempre e comunque al Veterinario, che non può e non deve uccidere un animale senza prima aver svolto tutti gli accertamenti di legge sullo stato di salute della bestiola, commettendo – in caso contrario – il reato di uccisione di animale previsto e punti dall’art. 544 bis cp e violando il proprio Codice Deontologico, che all’art. 34, denominato Eutanasia, recita “ L’eutanasia dell’animale è atto esclusivamente Medico Veterinario, rientra nell’etica professionale del Medico Veterinario può essere effettuata al fine di evitare all’animale paziente sofferenza psico-fisica e/o dolore inaccettabili e nei casi consentiti dalla legge. E’ responsabilità professionale del Medico Veterinario garantire, quando si deve interrompere la vita di un animale, che ciò sia fatto con il maggior grado di rispetto possibile e con l’impegno a indurre la morte nella massima assenza di dolore e stress possibile.”

Nel 2015 un veterinario è stato condannato ad un anno e due mesi di reclusione, con la pena accessoria dell’interdizione di un anno dall’esercizio della professione, per aver praticato ad un cane l’eutanasia somministrandogli un’iniezione di Tanax. Per i Giudici si è trattato di un atto di crudeltà non necessario. Il cane non era affetto da alcuna patologia, ma semplicemente definito ingestibile dal proprietario che lo aveva portato dal sanitario richiedendone la soppressione.

Nel 2018 un veterinario del Centro Italia è stato condannato ad un anno e venti giorni di reclusione perché praticava l’eutanasia agli animali di un allevamento che nonostante sani non erano più “utili” perché non più in età riproduttiva e non abbastanza “belli” per partecipare a gare e/o mostre. Storica è poi diventata la sentenza con cui la III Sezione Penale della Cassazione rilevava come i cani fossero stati sottoposti a “comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche” e, in alcuni casi, ad eutanasia per “patologie modeste e dopo periodi di cura troppo brevi, per le precise scelte aziendali di non curare adeguatamente i cani affetti da demodicosi e di non somministrare flebo a quelli affetti da diarrea” e condannava gli imputati – il direttore della struttura, il legale rappresentante, il veterinario responsabile, e società proprietaria dell’allevamento dove si praticava la sperimentazione su circa 2600 cani – a pene comprese tra un anno ed un anno e mezzo di carcere, oltre al pagamento di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende per l’infondatezza dei motivi di ricorso ed al pagamento delle spese di lite in favore di tre Associazioni Animaliste.

Il Veterinario risponde penalmente anche in caso di violazione del disposto di cui all’art. 365 cp (Omissione di referto) dell’art 373 cp (Falsa perizia o interpretazione), dell’art. 443 cp (Commercio o somministrazione di medicinali guasti) dell’art. 481cp (Falsità ideologica in certificati), dell’art. 500 cp (Diffusione di una malattia degli animali) e dell’art. 638 cp (Uccisione o danneggiamento di animale altrui). A mero titolo esemplificativo si cita una sentenza che ha condannato un veterinario imputato del reato di cui all’art. 443 cp perché deteneva per il commercio presso la clinica farmaci guasti o imperfetti. Il nostro viaggio lungo l’oscuro tunnel della responsabilità penale del veterinario termina qui, con l’amaro in bocca nel constatare che la mano di colui che dovrebbe agire per la tutela della salute ed il benessere dei nostri meravigliosi compagni di vita può, invece, trasformarsi nella mano di Atropo.

Avvocato Giada Bernardi

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