L’ultimo abbandono: quando si lascia un animale nel momento in cui ha più bisogno. La storia di Baby

Categories: Attualità

L’abbandono non è solo fisico: è anche non esserci, essere infastiditi dalla malattia, non avere cura. E poi ci sono gli altri. Quelli che restano fino alla fine. Ci sono cani lasciati in mezzo a una strada, sotto il sole di agosto, legati a un palo. E poi ci sono quelli lasciati nel silenzio di una casa, proprio mentre stanno morendo. L’abbandono ha tante forme. C’è quello crudele, evidente, che si denuncia. E c’è quello che non si vede, ma fa lo stesso male. Questo non è solo un articolo, è una riflessione personale, nata mentre accompagno la mia cagnolina Baby nel suo ultimo tratto di vita. Non riesce più a mangiare e a bere da sola, non cammina bene, ha avuto un crollo e poi un incidente. Ma io sono qui. A frullare cibo. A trasformare ogni gesto in un atto d’amore. A capire il suo linguaggio muto. A esserci.

In questi giorni, ho sentito dire: “Non esiste solo il cane qui.” E quelle parole sono state come un colpo più forte di tutti i pianti notturni. Perché l’abbandono più grave è quello che avviene mentre l’altro soffre. Quando si rimprovera un tavolo pieno di medicine. Quando si pensa che “è solo un cane”. Quando si giudica invece di comprendere. Ho letto una frase che mi è entrata sotto pelle: “Vivi in modo che, alla fine, nessuno applauda… ma qualcuno ti appoggi il naso sulla mano.”

Ci sono abbandoni che urlano e altri che sussurrano. Alcuni si consumano sull’asfalto rovente di un’estate qualunque, davanti a un cancello chiuso o lungo una strada sterrata. Altri, più subdoli, avvengono dentro le case: quando chi dovrebbe amare non ha cura, si distrae, si arrabbia, o semplicemente non c’è. Questo articolo nasce dal dolore e dalla gratitudine. Dal desiderio di denunciare chi abbandona gli animali e di comprendere che li ama fino alla fine. Hulk Hogan, nei suoi ultimi mesi, ha costruito un rifugio. Una cuccia dopo l’altra. Una carezza dopo l’altra. Con le sue mani, il suo tempo, i suoi soldi.

Non per apparire. Ma per restituire. Ai cani. A quelli abbandonati, feriti, dimenticati. Un uomo, il ring della vita, e una sola regola scritta su una tavola di legno: “Qui nessuno viene lasciato indietro.” Eppure, ogni giorno, qualcuno viene lasciato. In un sacchetto. In un campo. In una casa dove il tempo è scaduto e l’empatia non ha trovato posto. Io ho visto cosa significa restare accanto a un cane nella sua ultima fase.

Preparargli il pasto frullato, inventare gesti nuovi perché non riesce più a mangiare. Spostare ogni impegno, ogni abitudine, per dargli un po’ di pace. Non è eroismo. È amore. Di quello che non fa rumore. Eppure, anche in questi momenti, c’è chi riesce a dire: “Non esiste solo il cane.” Allora forse l’abbandono più grave non è quello sulla strada. Ma quello nelle relazioni. Quando l’anima di chi ami si sta spegnendo e tu scegli di rimproverare invece di stringere la mano. Questo articolo è per tutti coloro che costruiscono cucce, rifugi, carezze. Che si inginocchiano accanto a un cane vecchio, cieco, stanco.

Che sanno che il tempo è poco e lo spendono per chi non può più neanche nutrirsi, per chi soffre. E anche per chi, pur non avendo forza, si spezza in due per restare. Per esserci. Per dire sottovoce: “Io non ti lascio.” E per farlo ogni giorno, anche mentre il cuore si spezza. A loro, ai dimenticati e a chi non dimentica, va il nostro rispetto. E se questo articolo serve a qualcosa, che serva almeno a ricordare questo: L’amore non è perfetto. Ma non abbandona. Mai.

Amalia Mancini, per Attualità.it

Foto: Mancini

Condividi sui tuoi social