Cesare, finalmente si gode la vita e la sua nuova casa

Non avevi neanche un nome. Eri uno delle centinaia di cani randagi accalappiati ogni giorno nelle nostre strade e portato in un canile. Eri una di quelle anime che vagano, invisibili, per i più, in cerca di cibo, di acqua e di una carezza. Vagabondo senza un riparo dalla pioggia, dal freddo o dal caldo torrido dell’estate.
Un Maremmano come tanti, ma con i tuoi bellissimi occhi color ambra hai visto allontanarsi per sempre colui che amavi e che ti ha abbandonato e poi tante strade, tanta gente che ti ha scacciato, tante macchine che ti correvano pericolosamente vicine, ma anche mani buone. Come quelle di Giovanna che ti portava da mangiare e ti accarezzava la testona contenta.

Ed è stata Giovanna che mi ha chiamata addolorata perché non ti aveva più trovato al solito posto, chiedendomi aiuto per farti uscire dal box del canile dove piangevi sempre e non avresti sopportato la solitudine e la reclusione, tu, abituato ad essere uno spirito libero. Non ti avevo mai visto ma ti ho pensato ed immaginato dentro ad una gabbia, senza neanche le carezze di Giovanna, senza il conforto delle uniche mani buone che avevi conosciuto.

Ho immaginato il tuo dolore e la tua tristezza inconsolabile ed ho scritto l’appello tenendoti stretto al cuore Cesare. Ti ho chiamato così perché sei grande come l’imperatore romano e anche tu sei stato tradito da chi conoscevi e amavi. Il primo giorno che ti ho visto, al canile, stavi in un angolo del box accucciato come chi non spera più nulla, solo con i tuoi occhi grandi, velati da una tristezza indescrivibile.

Non e’ stato un incontro ma un ritrovarsi, perché eri proprio tu quello che io immaginavo quando rispondevo alle tantissime telefonate delle persone che volevano adottarti, era tuo il lamento che sentivo la notte gelida quando non riuscivi a dormire. Tu che appena hai visto Riccardo che voleva adottarti, avvicinarsi timoroso, hai abbassato la testa per offrirti ad una carezza. La carezza che ti era tanto mancata, la carezza alla quale ti aveva abituato Giovanna.

Ti ho visto qualche giorno dopo, tu, che nessuno era riuscito a portare a guinzaglio, te lo sei fatto mettere e sei salito sulla jeep di Riccardo, felice e scodinzolante perché sentivi l’amore che ti circondava e andavi fiducioso verso un futuro che intuivi finalmente diverso. Ti ho salutato commossa augurandomi per te la vita che meritavi, finalmente dolce gigante buono.

Sei andato a vivere in un agriturismo in Umbria circondato da tantissimo verde. La prima notte è stata tragica. Per non farti sentire freddo (era gennaio) Riccardo ti aveva messo a dormire in un capanno di legno molto grande, una maxi cuccia tutta per te. Con due spintoni hai demolito la porta e sei uscito fuori, di nuovo libero come eri stato abituato ad essere.

Saresti potuto scappare facilmente e andartene di nuovo lontano, come hai fatto in canile in 3 occasioni, ma c’era qualcosa che questa volta te lo ha impedito. Era il calore delle carezze di Riccardo, l’abbraccio di sua moglie Elena, le coccole e la felicità delle sue bimbe appena ti hanno visto arrivare in casa; no a questo non potevi rinunciare questa volta.

E cosi Cesare, distrutta la porta del capanno, ti sei messo a dormire sullo zerbino della porta d’ingresso di casa che, da quella notte, hai deciso sarebbe stata tua per sempre. I giorni e i mesi che sono trascorsi da quella notte sono stati bellissimi. Ti ho visto correre felice sui prati, giocare a palla con Riccardo e con le bimbe, oppure ergerti fiero e possente come un vero e proprio cane da guardia all’avvicinarsi di estranei alla “tua” proprietà.

Ti ho visto docile come un agnellino farti coprire la notte dalla tua sorellina umana, che ti riempiva di carezze e bacetti e correre incontro a Riccardo ogni volta che lo vedevi rientrare a casa, affettuosissimo e pieno di riconoscenza come solo voi cani sapete essere.

Tu che porti sul tuo corpo i segni di un passato di grande sofferenza che a noi non è dato conoscere (Riccardo lavandoti ha notato delle cicatrici da legature sulle zampe, sul muso e sul collo) ci hai dato una grande lezione di vita decidendo di fidarti ancora del genere umano e amandolo con tutto te stesso senza riserve.

Nell’ultima foto che mi ha mandato Elena ti ho visto sdraiato sul prato di casa, bellissimo, tanto da sembrare un altro cane, con il pelo lucidissimo, l’occhio soddisfatto, felice, amato e finalmente a casa.

Raffaella Cuomo, volontaria

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