L’AVVOCATO RISPONDE – Il risarcimento del danno patito dagli animali d’affezione

Nuovo appuntamento con la rubrica di Tesori a quattro zampe L’AVVOCATO RISPONDE a cura dell’avvocatessa Giada Bernardi. Oggi parliamo de “Il risarcimento del danno patito dagli animali d’affezione”.

Un cane viene investito e riporta lesioni. La compagnia d’assicurazione dell’auto responsabile dell’incidente corrisponde un risarcimento del danno per € 1.200,00 (SIC!) corrispondente al valore del bene prima del sinistro.

Un gatto di due anni a seguito di un errato inserimento del catetere da parte del veterinario subisce la rottura dell’uretra, a seguito della quale si rende necessario un intervento di uretrostomia (ovvero asportazione del pene). La Compagnia di assicurazioni del sanitario, pur riconoscendo la responsabilità dell’assicurato, corrisponde un risarcimento di € 1.400,00.

E ai sopra citati casi se ne potrebbero aggiungere tanti altri ancora, in cui la valutazione del danno, spesso importante e permanente, riportato da un animale viene valutato dalle compagnie di assicurazione alla stregua di un danno subito da un oggetto. Quella famosa res alla stregua della quale è tutt’ora considerato dal nostro ordinamento l’ animale, nonostante già nel 2016 la Cassazione lo abbia riconosciuto l’animale d’affezione come rientrante appartenente alla categoria degli esseri “senzienti”, capaci, di percepire il dolore e la sofferenza

Il risarcimento corrisposto al proprietario di un animale che per effetto di un evento dannoso di qualsivoglia natura non è, nella stragrande maggioranza dei casi, adeguato alle menomazioni riportate dalla bestiola, alle limitazioni funzionali ed esistenziali che le lesioni hanno comportato e che comporteranno.

Richiamando uno dei casi che precedono sembra proprio, e chi scrive ha la documentazione per dimostrarlo, che la vita di un gatto costretto a vivere senza l’organo riproduttivo, con tutte le conseguenze e ripercussioni che la menomazione avrà sul fisico della bestiola negli anni (tra cui in primis infezioni di varia natura) valga, a livello risarcitorio, quanto uno scooter e che il pregiudizio sofferto dalla bestiola non sia equiparabile a quello sofferto da un uomo (che sempre al genere animale appartiene) nella medesima circostanza. Dimenticando che sempre di un essere vivente si tratta, che la menomazione in esame determina per l’uomo e per il gatto le medesime conseguenze funzionali e strutturali.

E lo stesso può dirsi per un animale investito, reso invalido per effetto ed in conseguenza delle lesioni riportate, ma che per l’assicurazione vale 1.200 euro. Somma ridicola che nella fattispecie sopra sinteticamente richiamata non copriva neanche una parte delle spese veterinarie sostenute dal proprietario.

Costante giurisprudenza, in conformità con l’evoluzione della coscienza sociale sul rapporto uomo – animale d’affezione, ha ormai statuito come in caso di evento dannoso di cui è vittima un animale sia diritto del proprietario ottenere il ristoro del pregiudizio subìto, ivi compresi i danni non patrimoniali per la sofferenza patita a seguito delle lesioni, o della perdita, dell’animale ed il rimborso di eventuali spese mediche sostenute e sostenende.

Per ottenere (forse) il giusto risarcimento delle lesioni sofferte da un animale sembra proprio sia necessario agire giudizialmente, percorso che notoriamente comporta spese e tempi di definizioni di gran lunga superiori all’ iter stragiudiziale. Gli importi eventualmente liquidati in fase stragiudiziale dall’Assicurazione ben potranno essere trattenuti in acconto sul maggior dovuto dal danneggiato che potrà agire per il residuo in via giudiziale.

La pretesa risarcitoria dovrà, ovviamente, essere corroborata da elementi probatori, tra cui rilievo ed importanza avrà una Consulenza di Parte redatta da un medico veterinario che evidenzierà, inter alia, : la tipologia ed entità delle lesioni riportate dall’animale, il nesso causale tra le dette e l’evento dannoso, gli effetti, temporanei e duraturi, che le lesioni de qubus hanno ed avranno sulla salute dell’animale e sulla sfera relazionale del medesimo e la quantificazione economica del danno patito dalla bestiola.

Nella stesura della relazione e nella quantificazione del danno il veterinario terrà conto di molteplici fattori, ognuno dei quali con peso specifico differente nella valutazione: età, sesso, razza, inabilità alla riproduzione, impossibilità a partecipare a concorsi o ad attività sportive sono solo alcuni dei tasselli di cui si compone il mosaico “danno”.

Proprio come accade quando la richiesta risarcitoria ha per oggetto il danno occorso ad un essere umano. Né più né meno. Nel caso in cui l’evento dannoso determini il decesso dell’animale è vivamente consigliato richiedere all’Istituto Zooprofilattico l’esecuzione di esame necroscopico al fine di acclarare le effettive cause del decesso ed articolare in maniera corretta la domanda di risarcimento danni.

Al proprietario è liquidato anche il danno non patrimoniale, da liquidarsi in via equitativa tenendo conto di vari fattori, tra cui la durata del rapporto affettivo con la bestiola, ed un recente filone giurisprudenziale ha confermato la possibilità di estendere tale diritto anche alle persone vicine al proprietario della bestiola.

Il rapporto d’affezione con l’animale domestico assume, infatti, un valore sociale tale da elevarlo al rango di diritto inviolabile della persona umana ai sensi degli artt. 2, 32 e 42 Cost. Ed è proprio in questa prospettiva che il rapporto tra l’animale d’affezione ed il padrone è stato dai Giudici definito come l’”espressione di una relazione che costituisce occasione di completamento e sviluppo della personalità individuale e, quindi, come vero e proprio bene della persona, tutelato dall’art. 2 della Costituzione” (cfr. Trib. Torino, App., 29.10.2012, n. 6296; Trib. Rovereto, 18.10.2009, n. 499; Trib. Parma, sez. I, 2.05.2018, n. 605)”

Proprio in punto di risarcimento del danno morale storica una sentenza del Tribunale di Roma del 2017 con la quale si riconosceva a carico di chi investa un cane l’obbligo del risarcimento del danno morale (ovvero di natura non patrimoniale) “per l’apprensione e la sofferenza del proprietario del cane ferito”. Una sentenza manifestamente innovativa e di tendenza inversa a quel filone che nel passato ha negato il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale proprio per essere gli animali considerati dall’ordinamento civile quali beni mobili.

Sempre nel 2017 anche il Tribunale di Vicenza riconosceva il risarcimento del danno non patrimoniale per la perdita dell’animale d’affezione anche in assenza di condotte costituenti reato, proprio valorizzando il particolare rapporto che si instaura tra essere umano ed animali domestici che “non può essere paragonato a quello con una cosa, trattandosi di una relazione con esseri viventi” e che “si inserisce tra quelle attività realizzatrici della persona che la Carta costituzionale tutela all’art. 2”.

Con recente sentenza emessa nell’estate del 2020 il Tribunale di Novara, aderendo all’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale favorevole al risarcimento del danno non patrimoniale per la perdita dell’animale d’affezione anche quando il danno non sia conseguente a reato, condannava il proprietario di un cane a risarcire il danno non patrimoniale al proprietario di altro cane, mortalmente aggredito dal cane del condannato. Il Giudice motivava la liquidazione sulla scorta della sussistenza del danno arrecato ad una relazione affettiva durevole negli anni con il cane deceduto, pienamente inserito fin dall’inizio nel progetto di vita familiare. Tra i criteri adottati dal Tribunale per la liquidazione figura l’aspettativa di vita del canetto ucciso e, quindi, la durata ipotizzabile della relazione affettiva con la famiglia nella quale viveva. La sentenza in commento asseriva, inoltre, come “gli animali scelti come compagni di vita rappresentano non solo un bene oggetto di proprietà, bensì una presenza/esperienza esistenzialmente e sentimentale fondamentale”.

Il danno biologico per la perdita di un animale d’affezione veniva riconosciuta anche dal Tribunale di Ravenna che con sentenza del 2019 condannava il proprietario di un cane che aveva ucciso un altro cane al risarcimento in favore del proprietario del canetto deceduto anche del danno non patrimoniale, quantificato in un ammontare importante, per via delle ripercussioni psicologiche che l’evento aveva avuto sul proprietario della piccola vittima. In particolare il Giudice fondava il proprio convincimento sul riconoscimento del danno biologico acclarato con CTU medico legale espletata sul proprietario del cagnolino morto, applicando al relativo importo la personalizzazione proprio per aver l’evento fatto venir meno quel particolare legame affettivo che sussisteva con la bestiola.

In un caso di lesioni riportate da un cane a seguito di errore veterinario il Tribunale di Genova, sul presupposto del peggioramento della qualità di vita subito dalla bestiola, condannava il sanitario al risarcimento dei costi necessari per rimediare all’operazione andata male ed al risarcimento del danno morale, poiché le limitazioni motorie riportate dal cane avevano non solo avevano provocato dolore, ansia e sofferenza nel proprietario, ma ne avevano compromesso il suo progetto di vita insieme al cane. E, proseguiva il Giudice, proprio la consistente spesa sostenuta per le spese veterinarie della bestiola erano la prova tangibile e concreta della profondità del legame sussistente tra uomo e cane e della volontà ferma e determinata del proprietario di includere la cagnetta, peraltro adotta in un canile, nel suo progetto di vita.

Giada Bernardi, avvocatessa

 

 

 

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